La castanicoltura dell’Appennino modenese alla ribalta

La castanicoltura dell’Appennino modenese alla ribalta

Il 21 ottobre scorso nella Sala consiliare del Comune di Zocca si è svolto l’incontro “Castanicoltura nell’Appennino Modenese: quali possibilità e prospettive?”, organizzato dall’Unione Terre di Castelli in collaborazione con il Comune di Zocca e l’Associazione nazionale Città del Castagno.

Il convegno, aperto dal presidente dell’Unione Terre di Castelli, Emilia Muratori, ha affrontato tutte le tematiche più rilevanti (problematiche, criticità e potenzialità) rispetto alla castanicoltura ed ai suoi frutti che per l’Appennino rappresentano molto più di un semplice alimento.
Le castagne - un tempo la base energetica dell’alimentazione dei montanari (il castagno era infatti chiamato “albero del pane”) - insieme agli estesi castagneti che ancora le producono, oggi sono il simbolo che forse più di ogni altro rappresenta l’amore e la salvaguardia del territorio, la biodiversità, i prodotti tipici, il paesaggio naturale e possono essere per questo ritenute una vera e propria risorsa per l’Appennino.
Una risorsa che in Italia, come emerso dagli interventi di Luciano Trentini, coordinatore dell’VIII Incontro europeo della Castagna-Eurocasta 2017, vede ancora troppe criticità con numerosissime superfici castanili abbandonate e quindi anche una generalizzata mancanza di prodotto.
La castagna è dunque una grande risorsa non sfruttata, anche a fronte di un aumento della richiesta in Europa sia di prodotto fresco che trasformato. Basti pensare che in ambito continentale mancano circa 40.000 ettari di castagneti per soddisfare il fabbisogno dei cittadini europei. In Asia, ma anche in molti paesi europei, si è tornati in questi anni ad investire in questo tipo di coltura, mentre in Italia ci sono stati soltanto sporadici tentativi, nonostante ogni anno vengano spesi oltre 100 milioni di euro per l’importazione dall’estero.
Ma non tutto è perduto perché - come hanno argomentato Carla Scotti, consulente ITER della Regione Emilia-Romagna, Giovanni Battista Pasini, presidente dell’UNCEM Emilia-Romagna e dell’Ente Parchi Emilia Centrale e Gianfranco Tanari, sindaco di Zocca, tutti intervenuti al convegno - il passato glorioso del castagno può essere recuperato per un prossimo promettente futuro anche in Italia e non solo per la produzione di reddito attraverso la produzione di frutti, semilavorati e trasformati o legname. I castagneti, infatti, potranno tornare alla ribalta puntando proprio sulla loro “multifunzionalità” che trova nel valore paesaggistico ed ambientale dell’“ecosistema castagneto” uno dei punti di forza. Fondamentali, soprattutto in montagna per la preservazione, i castagneti ricoprono un importante ruolo nel cosiddetto “sequestro del carbonio”, con un conseguente contributo alla riduzione dell’effetto serra.
Il convegno è stato moderato da Luigi Vezzalini, coordinatore tecnico dell’Associazione nazionale Città del Castagno che, da oltre 15 anni, promuove eventi e iniziative in tutta Italia per valorizzare la castanicoltura e i territori dove si coltiva il castagno. Concluso positivamente il progetto di lotta biologica alla vespa cinese (Dryocosmus kuriphilus), nel quale l’associazione è stata determinante per la consegna degli “insetti antagonisti” da liberare nei castagneti in tutte le regioni italiane, ora si guarda al futuro puntando all’aumento delle produzioni e, soprattutto, alla valorizzazione della qualità dei nostri prodotti e dei territori di provenienza. Vezzalini ha poi invitato ufficialmente le pubbliche amministrazioni a predisporre il “catasto dei castagneti” per avere dati certi su cui basare la programmazione dei prossimi anni. Nelle conclusioni, la consigliera Luciana Serri ha ribadito l’impegno della Regione Emilia-Romagna ad affrontare il castagno come una risorsa importante della montagna modenese e di tutto l’Appennino emiliano-romagnolo. «Se adeguatamente valorizzata e sostenuta, anche con fondi europei - ha detto - la castanicoltura in Appennino potrà dare un contributo fondamentale all’economia montana e alla qualità della vita in questi territori».

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